Da alcuni anni gli italiani sentono sempre più parlare di una strana parola inglese: rating. Per essere più precisi si parla di rating nazionali assegnati da società apposite e che fanno tremare i governanti. Un buon rating rispecchia un’economia positiva; un rating negativo si traduce spesso in tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse. Ma cosa sono i rating nazioni? Chi li dà e come si calcolano? Cerchiamo di capirne di più nella guida che segue.
Rating nazioni: cosa sono
Se volessimo tradurre la parola rating con una corrispondente in italiano, potremmo usare la parola “giudizio”. Il rating di una nazione, in poche parole, non è altro che il giudizio che gli esperti danno sull’andamento dell’economia di quello Stato. Lo stabiliscono degli economisti delle principali agenzie di rating mondiale come Standard & Poor’s, Moody’s e altre ancora. Dalle analisi realizzate dagli economisti di queste società si evince una sorta di indicatore di rischio. Questo indicatore comunica agli investitori (che possono essere nazioni, società o singoli privati) quanto è a rischio il capitale investito in quella nazione.
L’indicatore di rischio può anche essere considerato un indicatore di insolvenza. Migliore è il rating infatti, maggiore è la possibilità che l’investimento porti dei frutti; al contrario più basso è il rating, maggiore è il rischio di insolvenza, cioè di ritrovarsi con un pugno di mosche alla fine dell’investimento. Di conseguenza, per attirare gli investitori, i Paesi con un rating basso sono costretti ad alzare gli interessi sui titoli di Stato, obbligazioni e quant’altro. E quando si parla di nazioni, significa che gli interessi vengono pagati con soldi pubblici. Cioè con le tasse. Per questo motivo un rating basso viene spesso collegato all’incremento delle tasse.
Il rating in realtà non è una prerogativa degli Stati. Anche le società quotate in Borsa ne hanno uno, ma certamente il loro giudizio ha un impatto inferiore rispetto a quello che può avere una nazione.
Come si calcola il rating
Come si fa per le aziende, anche per le nazioni (con le dovute differenze) vengono presi in considerazione il bilancio, i flussi di cassa, le spese strutturali e tutto ciò che di fatto rientra nell’ambito macroeconomico. Una volta che sono state calcolate entrate e uscite passate e future, nonché determinati i vari parametri che rendono una nazione più o meno solida (come per esempio la classe politica stabile), i dati finanziari vengono prima paragonati a quelli degli altri Paesi dello stesso livello, e poi vengono assegnati dei punteggi. I punteggi sono definiti all’americana, cioè con le lettere anziché numeri. La lettera A è la migliore; poi man mano si passa a B o C. Ogni società ha il suo metodo di valutazione del rating e il suo giudizio che si esprime con le lettere o con i simboli “+” e “-” o con i numeri 1 e 2. Per esempio Standard & Poors e Fitch usano le lettere A-B-C e i simboli + e -; Moody’s usa a fianco alle lettere anche i numeri (per esempio nel 2018 la valutazione di Moody’s dell’Italia è Baa2).
Quelli indicati finora erano i parametri sul lungo termine. Le società di rating danno anche giudizi sul breve termine indicati con la lettera P (P1, P2 e P3) da Moody’s; A, B o C da S&P e F, B e C da Fitch. Questa la classificazione di S&P:
- AAA (punteggio migliore in assoluto)
- AA
- A
- BBB
- BB
- BB
- B
- CCC
- CC
- D (punteggio peggiore, significa Paese insolvente)
Ci sono anche valori considerati “intermedi” segnalati con il + o il -. Il “+” significa che la tendenza è verso il miglioramento, il “-” significa che va a peggiorare. Questa invece la classificazione di Moody’s:
- Aaa
- AA
- A
- Baa
- Ba
- B
- Caa
- Ca
- C
Anche in questo caso ci sono valori intermedi segnalati con i numeri 1, 2 e 3.
Il rating dell’Italia e degli altri Paesi mondiali
Il periodo di fine 2018 non è decisamente dei migliori per il nostro Paese. Tra i rating nazioni occidentali, quello dell’Italia è tra i peggiori. Per S&P e Fitch abbiamo un rating di BBB; per Moody’s Baa2. Il Paese considerato esemplare, preso come punto di riferimento della solidità economica mondiale, è la Germania. Una delle poche nazioni a mettere tutti d’accordo con il punteggio della tripla A. Un punteggio che manca all’Italia ormai dagli anni ’80. Solo altri due Paesi possono vantare il punteggio massimo: Australia e Canada. Gli Stati Uniti, considerati la più forte economia mondiale, vanno soltanto vicini al punteggio perfetto. Ottengono il massimo da tutte le agenzie tranne che da Standard & Poors che le dà una AA+. Tra i Paesi facenti parte del G20 sono poche le nazioni con un rating peggiore dell’Italia. Si tratta solo di Argentina, Brasile, Russia, India, Indonesia, Sudafrica e Turchia.
E poi ci sono gli outlook, cioè i parametri di previsione futura. Gli outlook possono essere positivi, negativi o stabili. I giudizi positivi sono assegnati alle economie emergenti o in crescita. Attualmente, secondo Moody’s, solo Giamaica, Cuba, Honduras, Repubblica Dominicana, Fiji, India, Senegal, Serbia, Romania, Slovenia, Cipro e Irlanda si meritano un outlook positivo. L’Italia, come la maggior parte dei Paesi Occidentali, risulta avere un outlook stabile, mentre in negativo ci sono Paesi che stanno vivendo momenti difficili a causa di guerre ed instabilità interna, oppure importanti stravolgimenti come la Brexit per il Regno Unito.
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