La peste suina africana torna a preoccupare le autorità sanitarie mondiali dopo i focolai scoppiati in Cina ai primi di agosto del 2018. Già a settembre del 2017, un’epidemia di peste suina africana causò l’abbattimento di migliaia di maiali in Estonia.
I casi di peste suina africana in Cina rappresentano un problema ancora più grave per il settore degli allevamenti, la sicurezza alimentare e il commercio internazionale. Questo perché la Cina alleva la metà dei maiali del mondo, il doppio dei suini europei, cinque volte in più di quelli statunitensi.
Alla notizia del contagio in 4 località della Cina, e a causa delle tariffe statunitensi, i prezzi dei suini nel Paese sono crollati.
Il dottor Matthew Stone, direttore scientifico della World Organisation for Animal Health (OIE), sostiene che è importante osservare le più strette misure sulla biosicurezza per evitare una pandemia.
Come si diffonde la peste suina africana
Per la peste suina africana non esiste infatti un vaccino. L’unico metodo di contenimento è circoscrivere il virus, abbattendo i maiali contagiati o sospettati di essere venuti a contatto con il virus.
Il virus si trasmette solo attraverso il contatto diretto con animali infetti (vivi o morti) o carne contaminata. Non viene trasmesso per via aviaria, ma può sopravvivere fino a 1.000 giorni nella carne congelata. Inoltre persiste per lunghi periodi anche nelle carcasse dei cinghiali, su vestiti e stivali e nel terreno.
La peste suina africana non è pericolosa per l’uomo. Se per gli umani non rappresenta alcun rischio, per i maiali invece è spesso mortale. Non esiste una cura per il virus. Per evitare il contagio, gli allevatori possono solo osservare misure di sicurezza rigide e aggiungere farmaci anti-virali al mangime dei maiali.
Ma data la resistenza del virus, è difficile prevenire tutti i casi. A volte bastano un camion che ha trasportato maiali infetti non pulito a dovere, della carne infetta importata da un turista nel suo Paese, o degli avanzi di salsiccia abbandonata dopo un picnic, per innescare nuovi focolai.
Metodi di prevenzione e contenimento dell’epidemia
In caso di diagnosi, non resta altro da fare che uccidere tutti i maiali di un allevamento. Sia nel 2016 che nel 2017 sono stati uccisi oltre 300 mila maiali per prevenire la diffusione dell’epidemia di peste suina africana.
Nell’Europa meridionale il contenimento è reso più difficile dai contagi che avvengono tramite le zecche. A preoccupare in tutta Europa sono anche i cinghiali. Diffusi anche in Asia veicolano velocemente la peste suina africana, perché si riproducono rapidamente, sono abili nuotatori e sfuggono al controllo delle autorità veterinarie.
Gli allevatori tedeschi hanno infatti chiesto l’abbattimento del 70% della popolazione di cinghiali selvatici. Anche la Danimarca è corsa ai ripari: costruirà una barriera al confine con la Germania per prevenire la migrazione dei cinghiali.
Il Paese scandinavo conta più maiali che persone. Ogni anno vende oltre 28 milioni di maiali, allevati in 5 mila allevamenti. Ma un muro di un metro e mezzo non basterà a tenere lontani i cinghiali, che sanno attraversare i fiumi.
Linda Dixon, biologa cellulare presso il Pirbright Institute britannico, spiega che la diffusione del virus in Europa avrebbe potuto essere del tutto contenuta nel 2007, quando venne introdotto in Georgia dall’Africa orientale.
Purtroppo le autorità georgiane impiegarono circa 3 mesi per diagnosticare la malattia. Un lasso di tempo sufficiente a far sconfinare il virus oltre i confini nazionali.
I focolai europei di peste suina africana
Gli attuali focolai nell’Europa centrale e orientale hanno avuto inizio in Lituania nel 2014, per poi propagarsi in Polonia, Lettonia ed Estonia.
A giugno del 2017 si sono registrati dei casi anche in Repubblica Ceca. Nel 2018 la peste suina africana ha raggiunto anche la Romania e l’Ungheria. Altri focolai sono scoppiati in Russia, Ucraina e Moldavia.
Secondo Maarja Kristian, della Estonian Veterinary and Food Board, in Paesi più grandi dell’Estonia, come la Russia, anche la più piccola disattenzione e trascuratezza potrebbe causare nuovi focolai difficili da contenere.
Fonte: The Guardian
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