Obesità conseguenza della povertà, paradosso del nuovo millennio

di Onofrio Marco Mancini
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obesità e povertà

Una volta essere più in carne era considerato un privilegio perché significava mangiare tutti i giorni, consumare pasti abbondanti e, di conseguenza, essere ricchi. Oggi è esattamente il contrario. L’allarme lanciato dalla rivista The Lancet può sembrare paradossale ma è reale: l’obesità è conseguenza della povertà. Una povertà non solo economica ma anche culturale, ed è lì che bisogna combattere per sconfiggere il nuovo male del nostro secolo.

I dati italiani e internazionali sull’obesità

Secondo le ultime rilevazioni effettuate a livello internazionale dai ricercatori che hanno pubblicato lo studio su The Lancet, più di un adulto su 10 nel mondo è obeso. Per la precisione sarebbero il 10,8% degli uomini e il 14,9% delle donne. Circa il doppio sarebbe la percentuale dei sovrappeso. Numeri impressionanti se si considera che nel mondo si contano anche le centinaia di milioni di persone che muoiono di fame. Ancora peggiori sono i dati italiani: secondo l’Istituto Superiore di Sanità quasi un italiano ogni 4 è obeso, per la precisione il 24,5 per cento degli uomini e il 24,9% delle donne.

Decisamente preoccupante è anche la situazione dei bambini: il 13,5% si stima sia obeso oggi in Italia, a cui bisogna aggiungere il 30,5% dei sovrappeso. Insomma quasi la metà dei bambini italiani ha problemi di peso. Ma com’è possibile tutto ciò nel Paese della dieta Mediterranea?

Perché l’obesità è legata alla povertà

Secondo i ricercatori internazionali, suffragati da uno studio parallelo portato avanti dal centro Ace di Reggio Calabria e dall’ISS, la dieta Mediterranea è ormai rimasta un mito. Non si segue più come prima e la scarsa informazione, ma soprattutto le scarse finanze, portano oggi i genitori a comprare per i propri figli merendine e altri cibi poco costosi, ma anche poco salutari.

I cibi più salutari in genere costano di più. Anche frutta e verdura fresca non sono sempre a buon mercato. Allora se ne fa a meno e si opta per i prodotti confezionati e ricchi di conservanti, che al supermercato trovi anche a un euro

afferma Lino Caserta, direttore dell’Ace. Una abitudine che si rivela comune nelle famiglie monoreddito, con disoccupati e con livelli di istruzione più bassi. Purtroppo questa cattiva abitudine non riguarda soltanto i bambini, ma anche e soprattutto gli adulti, sempre più convergenti, per motivi di tempo o di denaro, sul junk food rispetto alla vecchia “cucina della nonna”. E la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare, almeno secondo molti esperti europei, se dovesse entrare in vigore il TTIP.

Foto: Pixabay

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