Sedici anni di carcere e oltre un milione di euro tra risarcimenti alle parti civili e pagamento delle spese processuali di 5 gradi di giudizio: è questa la tremenda sentenza che ha colpito Alberto Stasi, riconosciuto dal Tribunale di Milano come unico responsabile della morte di Chiara Poggi, avvenuta nell’agosto del 2007 nella sua villetta di Garlasco, in provincia di Pavia. Si tratta di uno dei processi che più hanno appassionato e diviso l’Italia, pieno di colpi di scena fino alla sentenza definitiva di ieri sera.
Sin dai primi momenti dell’indagine il “glaciale Stasi”, come era stato soprannominato dai media il fidanzato di Chiara Poggi, è sempre stato nel mirino degli inquirenti. Fu lui che, quella maledetta mattina del 13 agosto 2007, chiamò i carabinieri per denunciare la morte della ragazza. Secondo la sua versione dei fatti, era andato a trovare Chiara ma, dopo essere entrato in casa, ha notato una scia di sangue che ha seguito fino a trovare il corpo senza vita della sua fidanzata. Il racconto fatto agli inquirenti però non ha mai convinto del tutto.
Tante le incongruenze, tra le quali quella che è stata probabilmente decisiva è che pare impossibile che, con il sangue sparso dappertutto sul pavimento e sugli scalini, lui non si sia mai macchiato nemmeno con una goccia. Stasi infatti consegnò scarpe e vestiti che indossava quel giorno agli inquirenti, ed anche la sua bicicletta e la sua auto, ma il dna di Chiara non fu trovato in nessun caso. Secondo le perizie però era impossibile che lui non si fosse macchiato, e questo particolare ha fatto pensare che lui, forse preso dal panico, subito dopo l’omicidio si sia lavato le mani e liberato degli abiti per non insospettire nessuno. A riprova di questa tesi c’è anche un’impronta di un piede che corrisponderebbe a quello di Stasi e che sarebbe stata prodotta da una scarpa di un modello che si sapeva apparteneva all’imputato, ma che lui non aveva mai consegnato ai carabinieri.
Il processo ha diviso l’Italia. Nei primi due gradi di giudizio Alberto Stasi viene assolto per mancanza di prove sufficienti a condannarlo, ma nell’ultimo grado, la Cassazione, il processo riparte da zero. La Procura infatti riesce a dimostrare che i vari indizi non sono stati considerati nel loro complesso ma solo singolarmente, tanto da farli apparire slegati. A causa di un processo non regolare dunque, la Cassazione decide che si deve ripartire daccapo. Il primo grado del nuovo processo assolve nuovamente l’imputato ma i nuovi indizi portano la Corte d’Appello a condannare Stasi a 16 anni. Il calcolo della pena deriva dall’assenza dell’aggravante della crudeltà (che avrebbe portato il numero di anni di carcere a 30), e dalla riduzione di un terzo della pena, come previsto dalla legge, grazie al ricorso al rito abbreviato.
Stasi però per adesso non va in carcere. Il ragazzo, recentemente laureatosi alla Bocconi, ha fatto ricorso in Cassazione, e per questo motivo evita che le porte del carcere si aprano per lui. Nel caso in cui la Procura avesse anche il minimo sospetto di un pericolo di fuga, Stasi verrebbe immediatamente condotto in galera. La Cassazione adesso può decidere se confermare la condanna in secondo grado, se assolvere Stasi per vizi di forma, o addirittura se far ricominciare il processo per la terza volta.