La SLA da oggi ha un nuovo metodo diagnostico. È ancora a livello sperimentale, ma è un grande passo in avanti verso la risoluzione di questa malattia che fino a qualche anno fa non si sapeva quasi che esistesse. La SLA, o sclerosi laterale amiotrofica, è una terribile malattia che blocca tutti i muscoli del corpo, tranne il cervello. Chi si ammala è cosciente, ha capacità intellettive nella norma, ma non può muovere nient’altro che gli occhi. Negli ultimi anni è diventata piuttosto nota al pubblico italiano grazie alle campagne sulla ricerca portate avanti dall’ex calciatore Stefano Borgonovo, ed ora ha acquisito notorietà mondiale grazie all’Ice Bucket Challenge, la sfida tra i vip (e non solo) che si lanciano secchiate di acqua gelata.
A scoprire un nuovo metodo diagnostico, che può così aiutare a notare la malattia in anticipo e tentare di fermarla o almeno rallentarla, è stato l’ospedale Molinette di Torino che ha pubblicato la ricerca sulla rivista internazionale Neurology. Il metodo diagnostico utilizza un normale macchinario PET, la tomografia ad emissione di positroni già utilizzata per diagnosticare decine di malattie diverse. A guidare lo studio è stato il dottor Armando Chiò che da anni fa ricerca sulla SLA.
Secondo il dottor Chiò è possibile anticipare di diversi mesi la diagnosi di SLA utilizzando il tracciante (18F-Fdg) che è simile al glucosio e quindi non danneggia il fisico. Un metodo molto più sostenibile dell’utilizzo di medicine neurofisiologiche come avviene oggi, ed anche più preciso dato che ha dimostrato un tasso di successo del 95%. In questo modo non ci si concentra solo sulle modifiche a livello del midollo spinale, come i metodi odierni, ma anche a livello del cervello, una vera novità nel campo. La tesi è che, in fase di sviluppo della SLA, nel cervello compaiano delle modifiche ancor prima che in altre parti del corpo. Individuando quelle si scopre così la presenza della malattia e si può agire per contrastarla. Allo studio hanno partecipato anche l’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Cnr di Roma, il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, e Angelina Cistaro, ricercatrice del Centro torinese Pet Irmet.
Per raggiungere i loro risultati, i ricercatori si sono basati sull’analisi di 195 pazienti affetti da patologie neuronali, confrontati con 40 volontari sani. Nonostante il numero contenuto, questo è lo studio che ha riguardato il maggior numero di pazienti affetti da SLA al mondo visto che si tratta di una malattia piuttosto rara dato che colpisce mediamente una persona su 50 mila.
Foto: Liz West su Flickr