Riforma del Senato: si cambia ancora, arriva il modello francese

di Onofrio Marco Mancini
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Riforma del Senato, parte seconda. La modifica del Parlamento proposta da Renzi nei suoi primi giorni da Premier, ovvero un Senato non eletto, ma formato dai rappresentanti delle autonomie locali, non è piaciuta a molti. E così ecco arrivare una nuova proposta di modifica che ha aperto un acceso dibattito prima di tutto all’interno dello stesso PD, e di conseguenza ha già fatto infuriare gli altri partiti, Forza Italia in testa, che proprio non lo vogliono.

Ma di cosa si tratta? Il modello sarebbe quello francese, ovvero con i senatori non eletti direttamente dal popolo, ma da un gruppo di “grandi elettori”, mutuando un termine di politica americana, composto dai deputati e da una rappresentanza degli amministratori locali. Insomma, in entrambi i casi (prima proposta e modello francese) i senatori non sarebbero eletti direttamente dal popolo. Ma proprio su questo punto molti rappresentanti del PD non sono d’accordo. Come se non si fossero accorti che anche nella prima soluzione non c’era rappresentanza diretta.

Tra gli oppositori interni ci sono Corradino Mineo e Vannino Chiti, con quest’ultimo che ha presentato anche una sua bozza di riforma. Questo ddl prevede che il Senato rimanga elettivo com’è oggi, con i rappresentanti scelti su base regionale, il numero dei senatori dev’essere però inferiore, solo 106 (un terzo rispetto ad oggi), a fronte di una Camera dei deputati composta da 315 membri (la metà rispetto ad oggi); i pochi senatori riceverebbero però gli stessi stipendi che ottengono oggi e avrebbero poteri limitati, ma comunque superiori a quelli prospettati da Renzi nella precedente proposta.

Ad ogni modo pare che il ddl Chiti non verrà nemmeno preso in considerazione ed il dibattito interno alla commissione riforme sarà tra la prima proposta (Senato composto dai rappresentanti locali) ed il modello francese. Mentre sul primo ci sono le aperture di Forza Italia e NCD e la chiusura di tutti gli altri partiti, sul secondo c’è il no del partito di Berlusconi, il “ni” della Lega (per adesso si oppone, ma se partecipasse al dialogo se ne può parlare), modifiche proposte da tutti gli altri partiti che però ancora non si sono opposti, mentre resta da vedere cosa deciderà di fare il partito di Alfano.

Foto: agenziami su Flickr

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