Una volta lo status symbol degli automobilisti più avanti con l’età, quello che dimostrava che chi era alla guida era una persona di successo, era la super-car. Ferrari, Porsche, Lamborghini ed altri bolidi riempivano le strade, ma anche il cielo di emissioni di CO2. Oggi, con tutti i cambiamenti che la nostra società sta vivendo, molti status symbol sono cambiati, e tra essi anche il modo di concepire l’auto. Il mezzo che segnala una persona di successo oggi è l’auto ibrida.
Secondo un recente studio effettuato presso l’Università di Baylor, un’auto ibrida gratifica l’ego degli uomini arrivati al culmine della propria carriera e della propria vita molto più di una super-car. Lo studio è stato effettuato sulla popolazione americana, ed in particolare su oltre trecento possessori di auto ibrida sopra i 60 anni. Si tratta di un segmento di mercato importante perché è considerato quello degli automobilisti “maturi”.
Ebbene, dallo studio è risultato che psicologicamente questa fascia di popolazione preferisce acquistare questo genere di auto perché lo considera come un contributo per ripulire l’ambiente. La loro soddisfazione è influenzata principalmente dai valori sociali come l’orgoglio ed il prestigio, prima ancora che dalla qualità e dal prezzo dell’auto, o dalla consapevolezza di risparmiare non poco sul carburante.
Al contrario di quanto accadeva una volta, proprio quando si acquistavano dei bolidi da 300 km/h che però inquinavano tantissimo, la componente emotiva sparisce dalla fase di acquisto. Chi compra auto ibride, almeno secondo i dati dello studio, non lo fa perché è quella che ha sempre sognato o preso dall’euforia del momento, ma solo perché sa di star facendo la cosa giusta.
I risultati suggeriscono che i consumatori anziani sono preoccupati per come appaiono agli altri quando guidano una vettura ibrida. Credono che guidare un’auto ibrida produca un’immagine positiva di sé agli occhi delle altre persone
conclude la ricerca, sottolineando che il comportamento pro-ambiente si nota stranamente più nelle vecchie generazioni che in quelle più giovani. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Human Factors and Ergonomics in Manufacturing and Service Industries.
Foto: © Thinkstock