L’Italia non è un Paese normale. Quante volte abbiamo sentito questa frase. In questi ultimi mesi lo è meno del solito. E non soltanto perché due forze politiche da sempre contrapposte siedono in Parlamento l’una al fianco dell’altra perché fanno parte dello stesso Governo, ma perché una delle poche categorie protette rimaste, quella delle persone minacciate dalla mafia, sta diventando come tutte le altre in questa strana nazione: viene lasciata sola.
L’esempio più lampante è quello di Giulio Cavalli che, a differenza di tanta gente comune che magari non fa scalpore, è un attore, regista e soprattutto è un politico. Ma non è stato sufficiente per lui avere in tasca la tessera di Sinistra Ecologia e Libertà ed essere impegnato politicamente ad alti livelli. Quando ti metti contro gli intoccabili, non c’è tessera che tenga. La sua vicenda è lo specchio della situazione italiana. Impegnato da anni nel teatro di denuncia, si è prima occupato dello scandalo del G8 di Genova, poi dell’incidente di Linate del 2001, del turismo sessuale e poi ha alzato il tiro ed è passato alla mafia. E lì la sua vita è cambiata.
Dal monologo Do ut Des a L’Innocenza di Giulio sono passati appena 3 anni, eppure la vita di Giulio Cavalli è cambiata radicalmente. Costretto a vivere sotto scorta per aver rappresentato i conviti mafiosi, i rapporti di Andreotti con la mafia e aver raccontato i legami tra politica ed attività criminale, ora il regista è arrivato fin dove in pochi si sono spinti, non senza pagarne le conseguenze: collegare il nome dell’Expo 2015 alla ‘ndrangheta.
Lo denuncia da tempo anche Beppe Grillo, ma vista la notorietà che ha, la mafia non se la prenderebbe mai con uno così. Meglio prendersela invece con uno che è noto solo agli addetti ai lavori, ma che se possibile dà ancora più fastidio, come quando ha tentato di prendere il posto di Formigoni alla presidenza della Regione, per poi scoperchiare alcuni coperchi che sarebbe meglio tenere chiusi. Sollevando tutto questo polverone, prima o poi bisognava aspettarsi le minacce di morte.
La scorta finora lo ha protetto, ma a quanto pare adesso le cose si fanno, se possibile, ancora più serie. In una lettera pubblicata su L’Espresso di ieri, Giulio Cavalli denuncia:
Questa mattina mi sono svegliato leggendomi nelle parole del pentito Luigi Bonaventura che parla di politici lombardi informati del piano che avrebbe dovuto uccidermi.
Il pentito Bonaventura, ritenuto credibile dai magistrati che lo ascoltano da anni, è sempre stato altamente considerato dalle forze dell’ordine ogni volta che rivelava qualcosa. Ma ogni volta che parla di Cavalli, chissà perché tutti girano la testa dall’altra parte. Come se non si volesse sentire. Come se si volesse lasciare che la storia faccia il suo corso. Per questo ora una petizione ed anche il diretto interessato chiedono che le rivelazioni del pentito vengano vagliate con attenzione e che si cerchi di capire se la scorta assegnatagli sia sufficiente. E soprattutto che si eviti, come si sussurra da un po’, che addirittura gli venga tolta. Sarebbe come disegnargli un bersaglio sulla schiena. Di eroi assassinati dalla mafia questo Paese ne ha già avuti troppi, e Falcone e Borsellino sono più che sufficienti.
Foto: Giulio Cavalli su Wikipedia